Le materie di cui è fatta questa scultura – carbone e specchio – non possono non rimandare direttamente, senza indugi, al grande racconto orfico sull’origine dell’Uomo: ancora fanciullo, Dioniso riceve dal padre Zeus la signora su tutti gli Dei. I Titani, mandati da Hera, donano al dio dei giocattoli fatti da Hephaistos, trottola, palla, bambole, dadi e uno specchio. Dioniso si guarda nello specchio e non vede la sua immagine ma l’intero universo, molteplice e infinito; e proprio mentre è assorto nella visione, “con spada orrenda i Titani violarono Dioniso che guardava fissante l’immagine mendace nello specchio straniante”, serive Nonno di Panopoli. Zeus, iratosi contro i Titani, racconta Olimpiodoro, li fulminò, e dai loro corpi carbonizzati nacquero gli uomini: nella natura degli uomini si combattono dunque due elementi, uno malvagio titanico, e uno buono dionisiaco, l’isolamento nei vincoli individuali e la vita divina, visionaria e mistica. Commentando questo mito, Giorgio Colli ha scritto: “solo Dioniso esiste: noi e il nostro mondo siamo la sua parvenza mendace, quello che lui vede ponendosi dinanzi lo specchio. (…) Il conoscere come essenza della vita e come culmine della vita: tale è l’indicazione di Orfeo”. “Tutte le arti sono come specchi, in cui l’uomo vien conoscendo e riconoscendo qualche cosa di sé che ignorava.” (Alain, “Venti lezioni sulle Belle Arti”, 1931)